Grigio Gaber

PRIMO TEMPO

Il forte temporale notturno aveva lasciato spazio a un cielo libero da nuvole. Il sole riuscì in gran parte ad asciugare il parco giochi e i bambini erano tornati a concentrarsi sulle loro attività generando picchi di decibel degni di studi scientifici: roba di gioia, schiamazzi, qualche capriccio.

Le mamme, raggruppate in piccoli gruppi, chiacchieravano tra loro senza guardarsi mai negli occhi perché quelli erano destinati al controllo dei figli e dell’area circostante.

Nei gruppi su Whatsapp erano infatti girate voci che ci fossero delle persone poco raccomandabili e molto interessate ai bambini. L’allerta era quindi ragionevolmente alta.

Una di loro iniziò a fissare con sospetto un uomo seduto poco lontano su una parte del muretto di perimetro: reggeva un quotidiano che gli copriva gran parte del viso e gli occhiali scuri non permettevano di capire dove puntasse l’attenzione.

Il messaggio di pericolo circolò immediatamente tra le mamme, in attesa di un suo passo falso per chiamare la Polizia e sventare il maniaco, quando un bambino alto circa sei anni corse da lui facendo crollare in un attimo l’intero impianto accusatorio.

L’uomo era colpevole di essere un esemplare di padre rilassato in mezzo a un branco di madri in agitazione.

Scolletta osservò l’intera scena seduto sull’unica panchina del parco con le stecche di legno non spezzate. Notò che qualcuno prima di lui aveva appoggiato una macchinina rossa di metallo sul bordo della seduta. Era stata parcheggiata in bella evidenza, casomai il piccolo proprietario fosse tornato a reclamarla.

Il clima da inizio primavera lo aveva convinto a prendere il primo cono gelato della stagione: crema e cioccolato. Un classico indiscutibile.

La stava aspettando così, immerso tra clacson di auto in doppia fila, lavori in corso e grida di bambini.

Finalmente la vide uscire dal Jolly, un bar di cinesi nel quale una come lei risultava quantomeno fuori luogo. Ma non era il tipo che dava giudizi e infatti il pensiero non lo sfiorò.

Terminò il cono allineando il suo passo a quello lento e incerto della donna. L’età avanzata la faceva ondeggiare come fosse in equilibrio su una barca alla deriva. I raggi del sole le rendevano i capelli argentati e radi. Indossava un maglione scuro più grande di molte taglie, forse da uomo, una gonna grigia, delle calze molto spesse e un paio di scarpe basse che trascinava a cadenza regolare. Il peso degli anni era appoggiato completamente a destra.

Scolletta notò come si ostinasse a tenere la piccola borsa a tracolla sulla spalla in discesa: avrebbe potuto spostarla sull’altra ed evitare di fermarla con la mano, aggiustandola in continuazione, ma concluse che non gliene fregasse più di tanto.

La donna entrò al supermercato.

Era solita prendersi licenze credendo che l’età anagrafica gliele avesse concesse per diritto acquisito; come la riscossione di un premio.

Dove poteva se ne approfittava, noncurante

delle conseguenze piccole o grandi che fossero.

Al banco frutta era abituata a pesare le solite due mele, affrancare al sacchetto il prezzo per poi aggiungerne una terza prima di chiuderlo. Invertiva le etichette dei prodotti per acquistare i migliori a qualche centesimo in meno. 

Al momento di pagare, sceglieva sempre la cassa con la priorità ai disabili e non

perché lo fosse, ma per la soddisfazione di passare avanti alle persone in fila,

godendo del fatto che nessuno avrebbe dubitato di lei.

In farmacia era brava a interpretare ogni deficit possibile, frutto di anni di messa a punto, riuscendo sempre a farsi consegnare medicinali senza la ricetta per poi rivenderli al doppio del prezzo in un piccolo giro di spaccio gerontologico che aveva messo in piedi.

Raggiunse il pesante portone di casa e salì lentamente le due rampe di scale che

separavano l’ingresso dal suo appartamento.

Cercò, senza successo, di fare il minimo rumore durante l’estrazione del mazzo di chiavi dalla borsa per non attirare l’attenzione della sua vicina di casa che considerava impicciona e rimbambita.

In un frammento di secondo sentì la porta aprirsi e comparve la testa canuta della Franca con la quale fu costretta a scambiare ciò che da sempre considerava la solita rottura di coglioni.

Le disse di aver messo in forno una torta seguendo la ricetta di cui le aveva parlato giorni prima e che, a breve, gliene avrebbe portato una fetta.

La donna la ringraziò con un sorriso di sufficienza. Era convinta che la memoria per la Franca fosse ormai un ricordo lontano, che quella ricetta non fosse mai stata argomento di conversazione e che, forse, quella torta nemmeno esisteva e si chiuse la porta alle spalle sbuffando.

Proseguì a memoria lungo il buio corridoio, fino al cucinotto, appoggiò il sacchetto sul tavolo e sistemò la spesa tra frigo e dispensa quando sentì il campanello.

Stai a vedere che a quella  è tornata la memoria…

Tornò verso la porta, aprendola con fiducia, sicura di trovare la faccia della Franca, quando si vide comparire di fronte Scolletta.

« Buongiorno Maria »

Lo sguardo della donna in un attimo si perse chissà in quale angolo mentre fissava il viso dell’uomo che era invece a proprio agio.

« Mi fa entrare per un caffè? »

Maria Conforti, vedova Tirelli nacque nello stesso quartiere 78 anni prima di quel giorno.

A vent’anni si sposò con Giovanni Tirelli, proprietario di un negozio di calzature non lontano dalla casa che acquistò e in cui vissero per quasi cinquant’anni. Era una persona rispettosa della riservatezza altrui, nonostante amasse parlare con i clienti, i vicini e chiunque gli rivolgesse la parola. Era grasso, grosso, con gli occhi e le sopracciglia nere ed era buono come lo sono le persone grasse e pigre.

Maria inquadrò il soggetto in un istante la prima volta che lo vide e, per la lunga parte di vita condivisa, non fece molti sforzi per ottenere pieno controllo su tutto. Il suo coinvolgimento nella routine quotidiana si limitava alle faccende di casa. Era una pessima cuoca e non ebbe mai la tentazione di impegnarsi in nulla.

Quella là fa la bella vita, altroché dicevano le voci, ma Giovanni non ascoltava i pettegolezzi, era uno buono di spirito e credeva, data la poca autostima, che Maria fosse stata la migliore mano di carte che il destino gli avesse concesso.

Non possedeva grandi virtù – ammesso che la manipolazione del prossimo, il raggiro e la tirchieria non rientrino in questa lista – ma aveva molti vizi. Uno tra i tanti: era debole alle lusinghe degli altri uomini. E mentre il marito trascorreva molte ore in negozio, diviso tra la gestione degli ordini e il servizio alla clientela, lei si intratteneva a casa con alcuni ospiti.

Giovanni non volle scoperchiare quel vaso velenoso nemmeno quando iniziò a notare la comparsa di gioielli, piccoli articoli di pelletteria e una sera nel mobiletto del bagno un dopobarba non suo. Al funerale, la chiesa era piena di fiori e di gente che gli aveva sempre voluto bene.

Maria arrivò in ritardo.

Gli fece strada, tornando alla cucina dove l’uomo si accomodò girando attorno al tavolo in formica, dopodichè iniziò a osservarla in silenzio durante la preparazione della moka.

Un silenzio che per Maria stava diventando insostenibile così decise di aprire bocca per la prima volta.

« Mi deve scusare del ritardo. Ho avuto dei problemi di salute e non sono potuta nemmeno uscire. Poi, sa, la memoria non è più quella di un tempo e ogni tanto perdo il conto dei giorni. Le medicine sono tante. Il dottore poi me ne ha pure aggiunte altre e sono sempre più costos… »

« Ah, le bugie…è proprio vero quello che si dice quando si invecchia. Che si ritorna bambini. E anche le bugie sono semplici, trasparenti, banali. Non c’è quasi gusto  ».

Maria tacque di colpo e appoggiò la moka sul ripiano accanto ai fornelli.

Scolletta continuò.

« Quando mi ha cercato per avere quel prestito, mi sembra di essere stato chiaro sulle uniche due regole da seguire: puntualità nei pagamenti – sottolineò questo punto estraendo il dito indice della mano sinistra e puntandolo verso il soffitto – e nessuna scusa – qui aggiunse anche il dito medio.

In fondo è lei che è venuta a cercare me, non il contrario ed era informata su chi fossi e cosa facessi per vivere. No?

Mi ha raccontato della sua malattia grave, delle cure molto costose, delle medicine sperimentali. Con la voce spezzata mi ha confidato che era rimasta vedova con un figlio disabile da mantenere, che la pensione sua e di suo marito non erano più in grado di coprire le spese. Tutti che la comprendevano, la compativano, partecipavano al dolore, ma nessuno che… che parole ha usato esattamente? Ah, sì, che la aiutasse per davvero. Era stata molto convincente, lo ammetto.

Prima di consegnarle la somma ho fatto come sempre dei controlli. E sa che ho scoperto? Certo che lo sa…

Ha comunque qualche risparmio in banca e questa casa, quindi la cifra sarebbe rimasta un rischio accettabile.

Ma qualcosa non mi era chiara.

Così l’ho fatta pedinare e voilà: Il Jolly. I videopoker. Il gioco compulsivo.

E così i soldi che mi ha chiesto le servivano per un’altra malattia, forse persino peggiore.

Ma non la giudico Maria, stia serena! Ognuno per me è libero di vivere come può, se non è in grado di vivere come vuole.

Io però sono un uomo d’affari e credo nella puntualità e in un ragionevole tasso di interesse. Ne va della mia reputazione.

« Probabilmente durante il nostro primo incontro non sono stato abbastanza chiaro sulle conseguenze che comportano. Ma facciamo così ».

Su quell’ultima frase le speranze della donna si riaccesero.

« Probabilmente durante il nostro primo incontro non sono stato abbastanza chiaro sulle conseguenze che comportano situazioni di questo tipo. Ammettiamo pure che con lei chiuda un occhio: una piccola signora dai capelli grigi, una adorabile nonnina con un passatempo, diciamo, alternativo. Che male ci sarebbe in fondo in un briciolo di pietà. Lei non lo racconta a nessuno, io perdo qualche migliaio di euro, ma acquisto dei punti per il paradiso e siamo tutti felici » .

La donna annuì deglutendo aria.

« Sì, sì infatti, glielo giuro. Non lo dirò a nessuno. Glielo prometto sulla buona anima di mio marito ».

« E io potrei anche crederle. Ma. C’è un ma. E sa qual è? Che era sicura di prendermi per il culo con la storia della tenera vecchietta. La realtà invece è che il gioco di prestigio questa volta non ha funzionato. Perché tu non sei speciale. Tu sei come tutti gli altri: in debito ».

Scolletta fece un respiro profondo mentre scuoteva lentamente a testa.

« Vediamo se così riesco a essere più convincente ».

L’espressione questa volta mutò come il suo tono di voce. Si avvicinò con calma all’altro capo del tavolo e con una mano bloccò il braccio destro della vecchia, mentre l’altra estrasse dalla tasca della giacca un tagliasigari.

Avvenne tutto velocemente.

La donna udì un rumore deciso, come il taglio netto di un piccolo ramo o di una delle carote appoggiate ancora sul ripiano. Ma c’era qualcosa di strano in quel rumore: era vicino, ma allo stesso tempo non proveniva da nessuna direzione.

Era come se giungesse da dentro.

Maria abbassò lo sguardo e vide la falange del suo indice mischiarsi alle verdure.

L’uomo lasciò la presa, raccolse un canovaccio, pulì il tagliasigari e lo passò alla donna il cui viso era pallido e immobile; la bocca spalancata incapace di emettere alcun suono.

Poi, con tono fermo e chiaro continuò.

« Due giorni. Se non ha ciò che mi deve, interessi compresi, ci rivedremo e continuerò col resto della mano. Poi passeremo all’altra. Ma sappiamo entrambi che non sarà necessario ».

Quando riaprì la porta di ingresso si trovò di fronte la Franca che reggeva un piattino con una fetta di torta alle mandorle adagiato su un grazioso centrino di carta.

Si guardarono come se due galassie distanti anni luce si fossero incontrate accidentalmente.

La donna credette di aver sbagliato campanello.

Il viso di Scolletta era ormai tornato rilassato e sorridente.

« Se quella torta è tanto buona quanto bella, credo che a Maria tirerà su il morale.

È in cucina in questo momento. Fossi in lei però tornerei tra un po’. Ora non è dell’umore adatto.

Le auguro una buona giornata ».

Uscito in strada, si accese una sigaretta, grattò dalla manica della giacca una piccola macchia di sangue e sparì tra i rumori del traffico.

SECONDO TEMPO

Entrò in chiesa che era quasi sera. Il sole aveva oltrepassato le case della piccola piazza.

I tavoli apparecchiati fuori dalle bottiglierie avevano iniziato a popolarsi di giovani coppie, turisti che approfittavano del clima favorevole per un calice di rosso e colleghi che bevevano un bicchiere per allentare la tensione della giornata in ufficio.

Attraversò la navata centrale saltando i riti dei credenti seguiti alla lettera da millenni e raggiunse il confessionale.

« Buonasera Padre ».

« Buonasera Ismaele, come stai oggi? »

Scolletta usava quel breve incontro come una seduta dallo psicanalista.

Diceva che lo aiutava a scrollarsi di dosso alcuni ragionamenti che detti ad alta voce a qualcuno lo facevano stare meglio. Non era ovviamente credente, ma un prete costava meno di uno strizzacervelli e manteneva il segreto. Non scendeva troppo nei dettagli.

Erano più che altro dei monologhi sul mondo, l’esistenza e cose così.

« È un mondo sempre più in rovina. Nessuno è più capace di ascoltare, nemmeno se da quelle regole dipenda la propria vita. Solo se alzi la voce, minacci, agisci concretamente, ottieni la loro attenzione. Ma poi passi tu per essere il mostro, quello cattivo e violento. Ma chi è veramente il mostro qui? Perché credo che i ruoli non siano più così definiti».

Assunse una posizione più comoda e si accese una sigaretta.

« Ismaele te l’ho già detto che qui non si può fumare ».

« Faccia conto che sia incenso. Io Padre, lo sa, non faccio miracoli. Semmai elargisco aiuti, ma sono sempre molto attento quando chiedo a chiunque venga a trovarmi se ha compreso perfettamente le regole e le conseguenze. E tutti fanno colla testa, ma gli occhi sono fissi sui soldi. E io so che non hanno capito un cazzo.

Hanno sentito, quello sì, ma non hanno capito veramente. E così mi ritrovo a dover fare cose di cui poi mi pento, ma che sono necessarie nella mia posizione. Sarebbe la fine se girasse la voce che mi sia trasformato in un benefattore.

Non me lo posso permettere. Ma sembra che mi vogliano tutti mettere alla prova ».

« Siamo tutti messi alla prova ogni giorno, tra continue scelte e decisioni da prendere. La vita è una somma di strade prese e strade perse. Non c’è mai una sola verità. Ogni errore diventa punizione solo se non c’è vera redenzione. E il perdono di Nostro Signore arriva attraverso quella redenzione e un reale pentimento ».

« Lei ha ragione, oh se ne ha… sta diventando sempre più difficile ».

« Hai mai pensato di fare altro? »

Scolletta inspirò un lungo tiro e trattenne il fumo per qualche secondo prima  di rispondere.

« Ho sempre voluto suonare il sax ».

Spense la sigaretta a terra e proseguì.

« Il fatto è che c’è sempre meno gente che viene da me per necessità reali. Alcuni mi chiedono aiuto per cambiare auto, altri per affittare una villa a Ibiza o rifarsi le tette. Quelli che mi fanno i complimenti dicendo che non sono come le banche e non faccio mille domande finiscono poi per piangere quando mi prendo la loro auto, la casa, gli ori della madre e quando non riescono a coprire la somma, mi vedono fare del mio peggio. E ogni volta mi domando quando la gente imparerà ».

« Ismaele questo mondo non ha mai avuto un equilibrio, almeno non come lo intendiamo noi peccatori ».

« Se questo mondo avesse un equilibrio io non esisterei. Per semplicità crediamo che le cose siano bianche o nere, perché così ci insegnano. Invece tra gli estremi esistono decine di sfumature di grigio, ad una prima occhiata impercettibili. Io mi muovo all’interno di quelle sfumature e vivo grazie a quelle sfumature. Sono la soluzione più facile alle richieste di una società basata sempre più sulla fretta e sull’effimero. Sono il risultato di passi troppo lunghi, di menti superficiali, dell’incedere zoppicante dei valori moderni. Tutto sommato non dovrei sperare così tanto che il mondo rinsavisca, altrimenti sarei disoccupato ». 

« La cosa importante è che continui a lottare con tutte le forze alla ricerca della retta via e della salvezza. Perché c’è sempre speranza per tutti, ricordatelo. Per questo ti assolvo e ti benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».

« É sempre un piacere parlare con lei. A tal proposito non avrebbe anche lei qualcosa per me? »

Il breve silenzio di imbarazzo venne sostituito da un fruscìo al di là del pannello divisorio del confessionale che fece apparire una busta gialla rettangolare e stropicciata. Scolletta la raccolse e ne controllò il contenuto.

« Con questo Ismaele dovremmo essere a posto per il mese ».

« Padre, ora anche lei è assolto dai suoi peccati ».

TERZO TEMPO

Il ritiro del foglio a quadretti piegato in quattro era l’ultima azione quotidiana.

Lo sfilava dalla cassetta della posta appena rientrava a casa.

All’interno venivano segnati sempre a mano nomi e importi di persone che necessitavano di un aiuto e che il giorno seguente sarebbero state ricontattate.

Tutto questo era opera di Gascoigne.

Più di un semplice segretario. Era autista, consigliere, braccio armato nelle situazioni di estrema emergenza e, nonostante l’aspetto, in possesso di una calligrafia davvero elegante e ordinata.

Qualcuno prima o poi dovrebbe raccontare la sua storia, iniziando proprio dal nome che erroneamente non era un soprannome datogli per somiglianza col calciatore o per il suo carattere fumantino e sopra le righe. Era il suo vero nome di battesimo. In pochi ne conoscevano il motivo e il calcio non c’entrava.

Scolletta lesse il foglio con distratta superficialità e se lo mise in tasca non appena l’ascensore terminò la sua corsa all’ultimo piano.

Rientrava nell’unico luogo nel quale provasse a credere che le cose fossero in grado di funzionare senza grossi ostacoli.

Le scarpe scivolavano leggere sul parquet per non fare troppo rumore.

In camera, sua moglie lo attendeva come sempre sveglia, intenta a leggere un libro e con in caldo un bacio di bentornato.

« Come è andata oggi? »

« Giornata complicata con una cliente. Ho dovuto essere più convincente del solito.

Ah, quando riesci porteresti per favore questo vestito a lavare? Ho macchiato la giacca ».

« Appoggialo lì sulla poltrona ».

« Qui tutto ok? »

« Tutto tranquillo, ha chiamato mia madre, domenica vuole che andiamo da lei a pranzo. Portiamo noi il dolce, altrimenti si mette a spadellare più del dovuto e poi resta bloccata con la schiena per settimane »

« Ok. Leo sta bene? »

« Come sempre, oggi ha anche segnato due gol alla partitella  ».

« Domani mattina lo accompagno io a scuola e poi lo porto agli allenamenti. Per fortuna ho pochi appuntamenti. Mi rilasso un attimo di là ».

« Va bene, non credo che mi troverai ancora sveglia, sono stanchissima ».

« Buona notte amore ».

« Buona notte ».

Si cambiò e passò nella camera di Leonardo che dormiva da ore, o fingeva di farlo.

Gli rimboccò le coperte, spense la piccola lampada sul comodino e gli lasciò la macchinina rossa fiammante che aveva rimosso dalla panchina per divieto di sosta.

Due cubetti di ghiaccio, dello Scotch invecchiato e si buttò sul divano.

La televisione si accese su un canale a caso che trasmetteva la replica di un vecchio varietà in bianco e nero.

Il presentatore e il cantante erano seduti al centro dello studio. Dopo una veloce introduzione, l’artista famoso dalla

folta chioma, in giacca e cravatta si spostò tra il giovane pubblico a collo alto e iniziò a cantare per loro; come ad una

festa di amici dove, a un certo punto, appare una chitarra e qualcuno inizia a suonare.

Scolletta terminò il suo drink, appoggiò la testa allo schienale, distese le gambe e con quella melodia di fondo ancora nell’aria,

socchiuse gli occhi in cerca di tranquillità.

Nero.

Riccardo Fano