Il ladro

Non ricordo quando tutto ebbe inizio, ma non sono mai stato particolarmente legato al passato.
In una delle prime case nelle quali feci visita, trovai in uno svuotatasche assieme ad altri oggetti inutilizzati, un portachiavi argentato con inciso Hic et nunc.

Decisi di prenderlo. Fu uno dei pochi souvenir che tenni per me.
Solitamente non ho questa abitudine. Giustamente ti starai chiedendo, mi permetto di darti del tu spero non ti dispiaccia, quale sia esattamente il mio lavoro e perché lo stia raccontando a te.
Domanda lecita. Parto dal fondo: non so perché lo stia raccontando a te, ma come per il portachiavi, ho seguito l’istinto. Non ho occasioni di parlare di me e di conseguenza non mi capita spesso di poter raccontare del mio, non so come definirlo, lavoro? Passione? Vocazione? Lavoro lo escluderei: ciò che faccio non mi permette di vivere e comunque ho già un’occupazione per la quale non posso scendere in dettagli troppo specifici e so che ne comprenderai il motivo.
Molti mi definirebbero ladro, minimizzando superficialmente lo ammetto.
Per quanto l’azione sia sottrarre cose, ritengo di svolgere un compito che miri a un obiettivo più filantropico: ciò che faccio è mettere in contatto le vite degli sconosciuti attraverso gli oggetti. È un’ attività che richiede molto tempo, molta curiosità, tanta pazienza e una abilità non indifferente. Sono molto bravo in quello che faccio. Non a caso continuo da anni senza inciampi.
Ma non divaghiamo.
Abbiamo dunque tralasciato il quando e ti ho appena raccontato il cosa; ora vorrei continuare col come.
Dopo aver trovato due persone che non si conoscono ma che ritengo abbiano qualcosa in comune, semplicemente visito le loro case quando non ci sono, prelevo un oggetto che mi colpisce, quello che un arredatore o un rigattiere definirebbe con una personalità, ma, prima regola, mai nulla di valore o estremamente eccentrico e lo scambio con uno simile, prelevato durante una mia visita precedente.
Mi diverto, sì qui posso proprio dirlo, mi diverto molto quando capita con le fotografie: una volta ero nell’appartamento di una nota avvocatessa, sopra un elegante mobile nel suo studio ho sostituito la foto dentro una splendida cornice d’argento che la ritraeva in vacanza con amici, con una molto simile, sottratta qualche settimana prima e l’ho riposta leggermente più in fondo, mimetizzata tra le altre.

Hai presente quella sensazione che si prova quando hai la certezza che qualcuno sia stato in casa tua? Non sai comprenderne il motivo, ma lo senti. E così ti giri per le stanze osservando prima in generale, poi sempre più nel particolare. Controlli gli oggetti di valore, la cassaforte.

Tutto è come e dove lo avevi lasciato prima di uscire. Quasi tutto, ma ancora non lo sai. Così quella sensazione rimane con te ancora per qualche ora, poi, lentamente svanisce lasciandoti un leggero sapore di dubbio che se ne va anche lui col primo sonno della notte. Quando la mattina seguente ti ributti nella routine quotidiana, la mente va altrove, lontana da quell’episodio.

Ed è lì che entro in gioco io con la seconda regola: sistemare l’oggetto leggermente fuori posto. Rompere un’abitudine, un gesto automatico, costringerti a notare i piccoli particolari, le leggere sfumature.
Perché vedi, ormai non poniamo più attenzione ai dettagli, tutti indaffarati a stare in superficie e perdiamo la bellezza delle piccole cose che ci arricchiscono.

Io provo a fare il mio aiutando umilmente qualcuno a ritornare da questa parte del tavolo.

E mi immagino l’espressione sul volto dell’avvocatessa quando durante una telefonata di lavoro avrà fatto scorrere lo sguardo sul gruppo di fotografie, notando solo dopo qualche secondo che una cornice era spostata rispetto al solito.
E quanto mi sarebbe piaciuto essere lì quando la mente l’ha costretta ad uno sguardo più attento facendole scoprire che al centro di quel gruppo vacanze sorridente non c’era lei, ma una sconosciuta in mezzo ad altrettanti sconosciuti. Purtroppo la parte brutta di tutto questo è che io non posso mai assistere all’effetto del mio prestigio ed è un vero peccato, credimi. Ed ecco spiegato anche il perché.

Credo di non averti detto tutto, ma abbastanza.
È stata una piacevole chiacchierata. Ti ringrazio per avermi ascoltato.
Ti lascio frugare in casa alla ricerca di ciò che ho scelto per te. Spero ti aiuti a riflettere su quanto hai trovato scritto in questa lettera. Noi non ci vedremo più, anche se vedremo non è il termine più adatto.
Ti auguro una buona caccia al tesoro.

Riccardo Fano