La controfigura

Due lussazioni alla spalla destra, tre fratture al setto nasale, incrinazione alla sesta e settima costola, frattura tarso e metatarso del piede sinistro, una ferita da taglio al torace, una alla schiena, una alla coscia destra, perforazione del timpano sinistro.

Ogni volta che un nuovo medico legge la prima pagina della mia storia clinica mi piace osservare la sua espressione che, lentamente, si fa incredula. Quella è una professione che dovrebbe prepararti a situazioni precarie e invece si stupiscono sempre.

Il mio storico prosegue per altre due paginette scritte in modo ordinato e di cui vado fiero. Nel mio mondo sono come medaglie guadagnate sul campo. Ci si riempiono intere conversazioni citando aneddoti, più o meno conditi, durante i ritrovi con colleghi o persone definite non addette ai lavori.

Ho esordito precipitando in un burrone dentro una Alfa Romeo nel settembre del ‘74 in “Banditi dal grilletto facile”, un poliziottesco che ebbe un discreto successo.

Quasi cinquant’anni e settantaquattro film più tardi, sono ancora qui, più ammaccato ma vivo e felice.

Oddio, felice in questo momento non tanto e, ad essere del tutto onesti, sono anche un po’ imbarazzato: dopo essere precipitato da palazzi, uscito da incendi, risalito rapide, essermi schiantato a tutta velocità, inciampare contro un marciapiedi e finire al pronto soccorso non è motivo d’orgoglio.

Pazienza. Mi convinco faccia parte della vita e l’attesa del referto mi dà modo di fare un punto.

Amo ancora il cinema e molto, ma non lo capisco più tanto e forse è giusto così.

Non sono mai stato un nostalgico, ma quando vedo battaglie, combattimenti e inseguimenti in auto che vanno senza controllo, lanciate a tutta velocità nel traffico cittadino, ripenso a quando lo facevamo noi, senza computer grafica e con molta meno sicurezza.

Macchine vere contro macchine vere.

Lì se sbagliavi una manovra di qualche centimetro rischiavi tutto. Esplosioni reali con fuoco reale. In un certo senso era un lavoro artigianale. Tempi morti che sembravano infiniti, con l’adrenalina al massimo, attento che l’attenzione non calasse, fino a quando sentivi il tuo nome pronunciato da un megafono e entravi in scena.

Quando girai “Inferno di cemento” attesi ben quattro ore durante le quali credo di aver fumato due pacchetti di sigarette. Dopo il successo di “Inferno di cristallo” con Steve McQueen, vollero girare una specie di remake. Nella scena facevo la controfigura di un pompiere impegnato a salire con la squadra all’ultimo piano di un palazzo in fiamme per domare un enorme incendio. Un’esplosione inaspettata lo avrebbe lanciato contro la vetrata sfondandola e facendolo precipitare nel vuoto.

Ovviamente quel pompiere ero io.

Oltre alle difficoltà che si possono tranquillamente immaginare, quella scena aveva un costo molto alto e non si poteva girare più di due volte. Quindi era da considerare un buona la prima. Per non sbagliare, gli addetti all’esplosione aumentarono la potenza in modo da essere sicuri che la resa fosse all’altezza delle aspettative. Solo che vollero strafare e l’onda d’urto mi spinse talmente forte contro il centro della vetrata che persi i sensi. Quando rinvenni ero circondato dalla troupe in silenzio che mi fissava credendomi morto.

Feci OK con la mano e partì un applauso liberatorio. Quando mi rialzai osservai la tuta fumante e non ricordai nulla dell’accaduto. Ogni volta che mi capita di rivedere la scena in TV, ammetto che quella è stata la mia migliore interpretazione.

L’infermiera ha chiamato il mio nome.

Mi consegna il referto.

Lussazione al polso destro con leggere escoriazioni dovute alla caduta. Consigliati esercizi riabilitativi per ripristinare la forza alla mano.

Un altro aggiornamento alla cartella.

Un’altra medaglia al petto conquistata su un nuovo campo di battaglia.

Mi è venuta fame. E voglia di andare al cinema.

Riccardo Fano