Si alzò improvvisamente nel cuore della notte, governato da un affanno sudato e tachicardico.
Scese dal letto e si fece strada nel buio della stanza guidato da un’urgenza che non poteva attendere.
Aprì ogni cassetto dell’armadio gettandone a terra il contenuto come un roditore affamato.
Passò successivamente in rassegna il resto dei mobili, anfratti, angoli, scatole, scatoline, barattoli.
Proseguì così per più di un’ora, ma la smania non sembrava scemare. Anzi.
Esausto, raggiunse il bagno, si sciacquò il volto e prese fiato per qualche secondo.
Per un brevissimo momento vide nella penombra il suo volto riflesso allo specchio.
Osservò con meticolosa attenzione le orbite degli occhi, le narici, quindi scandagliò l’interno della bocca con la minuzia di uno speleologo.
Sembrava non avere mai visto quelle parti.
D’improvviso capì.
Comprese quale fosse l’urgenza e cosa lo svegliò di colpo nel cuore della notte.
Non cercava qualcosa di tangibile, nulla di materiale, niente che si potesse toccare, vendere o comprare.
Era alla ricerca dello stupore.
Della sindrome di Stendhal.
Del brivido per qualcosa di nuovo e inaspettato.
Delle lacrime scatenate da un’emozione intrattenibile, da un evento sconosciuto fino a quell’istante.
Come il sapore del sangue dopo la prima caduta.
Il bruciore del primo sole, lo sbattere dei denti per il freddo della prima neve.
Cercava la profondità di un concetto raccontato con parole mai sentite prime e perfette.
La sensazione di nostalgia per qualcosa che nemmeno aveva vissuto.
Stava attendendo che la vita tornasse a chiedere di lui.