Ombre lunghe

Mi sono perso una notte di qualche anno fa.
Non ricordo bene il giorno, ma credo fosse una di quelle notti di inizio autunno, quelle con i primi venti freddi e l’aria ancora tiepida.
No, non è vero.
Non era una notte, era la fine del giorno, poco prima che il sole tramonti completamente e lasci dietro i corpi delle ombre lunghe che ci rendono piccoli.
Ricordo il cielo di un gradiente rosa, rosso, arancio, lilla.
Forse non c’era il lilla ora che ci penso bene.
Il vento, quello sì me lo ricordo. Era pungente, elettrificava i miei pensieri.
Prima di perdere me stesso ricordo però che persi la mia ombra, catturata credo dal sole che, sparendo, la portò con sé assieme a tutte le altre.
Perché si sa, le ombre per esistere hanno bisogno di luce, almeno questa è la giustificazione che mi sono dato in quel momento. Le ombre che hanno paura del buio però è una cosa che fa sorridere.
Ad ogni modo rimasi solo, senza nemmeno la mia ombra preferita.

Vagai per le strade di quello che ritenevo fosse il mio quartiere; all’inizio mi sembrava familiare, ma ora non ne ero più così certo.
Mi sentivo parte stessa di quel buio che aumentava.
Le ultime luci in cielo erano l’unico elemento che separava i due livelli.
Quell’aria che si scontrava contro il mio corpo la consapevolezza che fossi ancora presente, che avessi una sostanza tangibile. Che fossi ancora reale.
Poi però mi chiesi cosa mi importasse esserlo se non potevo condividerlo nemmeno con la mia ombra. Quella vigliacca.
Ricordo che vidi in lontananza la luce di un lampione.
Non so perché ma cercai di raggiungerla.
Camminai per un bel pezzo, almeno mi sembrava, dato che stavo perdendo anche la concezione del tempo.
Il vento era aumentato leggermente e mi soffiava alle spalle aiutandomi a raggiungere la meta, cosa che nel frattempo stava diventando una vera e propria impresa.
Finalmente dopo diversi minuti, ore, giorni…anni, non lo sapevo più, riuscì a mettermi sotto il fascio di luce giallo miele in cerca di una certezza sulla mia presenza.

Ero ancora lì? Esistevo?
Ma il vento improvvisamente si alzò furioso facendo volare in aria la luce nella quale riponevo grande fiducia, sballottandola in ogni direzione fino a farla spegnere del tutto.
Tornai nel buio più pieno.
Ripresi sconsolato a camminare senza udire nessun suono.
Poi mi accorsi che non stavo udendo nemmeno quello dei miei passi.
Come era potuto accadere? Prima la mia ombra, adesso i passi. Come era possibile che non riuscissi più a sentirmi?
Ero stranamente tranquillo, nonostante la situazione fosse alquanto bizzarra.
Ormai stanco, anche se credo mi fossi dimenticato persino cosa volesse dire, cercai un punto per sedermi, ma in quella condizione ogni punto era buono.
Mi accovacciai in quell’esatto metro quadro, in attesa che il sole sorgesse di nuovo, così da ritrovare la mia ombra vigliacca, i miei passi e me stesso.

Ricordo di essermi perso una notte, ma anche se non ricordo esattamente quando, so per certo che non volevo rimanere lì dentro per sempre.

Riccardo Fano