60′ di ritardo

Ratatatatatatatatatatatatata.

Il ritmo delle ruote sul pavimento irregolare della stazione rompono la noia dell’attesa e sovrasta quello dei suoi passi. La ragazza con la maglietta rosa e il piumino bianco è in ritardo. Il trolley grigio traballa durante la leggera corsa e le piccole ruote sembrano non tenere la strada nei ripetuti cambi di rotta per svincolarsi dai pochi passeggeri che transitano sui binari.

Legata in vita una felpa e in un sacchetto troppo piccolo per il suo contenuto, un piumino leggero bianco. Tutto quel peso eccessivo è frutto di un calcolo corretto per la stagione, ma errato per la situazione climatica contemporanea.

Ratatatatatata TAC tatatatatata.

Transita e scompare, imboccando uno dei binari dai quali il suo treno sta per lasciare la banchina. Dalla fretta e dai rumori generali quel TAC è rimasto sospeso e non corrisposto.

Il suo telefono è a terra, illuminato da uno spicchio di sole che spunta da una fessura tra le coperture della stazione. Giace immobile; nera la cover, nero lui e nero il display. Da lontano sembra uno scarafaggio tecnologico cappottato. Per qualche secondo, nel marasma generale, nessuno ci fa caso.

Viene notato da un uomo con delle strane ciabatte e un gilet da pescatore, una di quelle persone che non sai cosa ci facciano in una stazione, ma ci sono: passeggia con le mani dietro la schiena come se non stesse attendendo nulla, non avesse nulla da rincorrere, nessun treno da prendere.

Si avvicina e si ferma a pochi centimetri. Lo osserva immobile. Si guarda attorno. Poi lo riguarda come un predatore guarda una piccola preda inerme, indeciso sulla prossima mossa.

Con la coda dell’occhio nota una ragazza con un velo floreale che trasporta un passeggino e, a traino, gli altri due figli.

È suo? Chiede alla donna indicando con lo sguardo il telefono.

No, non è mio. Gli risponde sorpresa dall’improbabile domanda.

Si ferma anche lei a osservare l’oggetto.

Forse l’hanno perso per sbaglio. Suggerisce la bambina più grande.

Prendiamolo noi, aggiunge incoraggiato il fratellino.

Il tutto mentre l’ultimo arrivato, nel passeggino, si limita a fare la cosa al momento più sensata: continuare a dormire.

Il piccolo gruppetto che si è formato attira l’attenzione dei passanti. Un ragazzino con uno zaino più grande di lui procede a passo spedito, ma rallenta senza fermarsi incuriosito dalla scena. Per un attimo sembra venire attirato anche lui dall’oggetto magico che scatena così tanto interesse. Ma la fretta si materializza in una mano che lo agguanta per la maglietta e lo trascina via. Altri semplicemente passano, buttano uno sguardo e se ne vanno.

Sono trascorsi diversi minuti e nessuno ha ancora avuto il coraggio di raccoglierlo da terra. Lo fa finalmente un ragazzo, anche lui con un passeggino.

Si abbassa con sicurezza, lo afferra, si rialza maneggiandolo stranamente, come se avesse tra le mani qualcosa di alieno. Si aggiusta gli occhiali da vista per osservarlo meglio.

È suo? Chiosa il vecchio che mantiene ben saldate le mani dietro la schiena, ma ci tiene a tenere alta l’attenzione e il timone dell’indagine.

No, non è mio, sono appena arrivato.

Nel frattempo la compagna del ragazzo, lo raggiunge con i biglietti. L’attenzione viene dirottata da un secco rumore sordo. Tutti ci giriamo verso la fonte: una turista ha fatto cadere una bottiglia di birra frantumandola. Ritorniamo da quel breve intervallo e i protagonisti si riconcentrano sul caso.

Non posso ovviamente sbloccarlo. Dice il ragazzo.

Nel frattempo la donna col velo e i suoi figli approfittano del momento morto e abbandonano il palcoscenico. La soglia d’attenzione viene meno e con essa giunge l’unica, sensata, soluzione.

Lo porto agli oggetti smarriti, non so che altro fare aggiunge il risoluto ragazzo con gli occhiali da vista.

Il vecchio, un po’ dispiaciuto nel comprendere che quell’avventura volgeva ormai al termine, ma che era l’unica opzione intelligente, annuisce. I nostri protagonisti quindi si separano e senza un cenno di saluto prendono due strade opposte: il vecchio con le strane ciabatte e il gilet da pescatore da una parte, il ragazzo con gli occhiali e il passeggino dall’altra.

Ratatatatatatatatatatatatatatatata.

Riappare la ragazza con la maglietta rosa. Con una invidiabile freddezza e apparente calma, sta ripetendo al contrario l’intero percorso alla ricerca del suo telefono. Scompare di nuovo dietro la biglietteria evitando i pezzi di vetro della bottiglia, rientrando in scena qualche minuto dopo.

Esce di nuovo dall’inquadratura, ricomparendo dalla parte opposta. L’espressione è immutata, l’andatura costante. Nell’ultimo attraversamento ritorna con una guardia giurata in divisa verde e vistoso tattoo sul collo.

Il tuo telefono è lì, indicando l’ufficio oggetti smarriti, hai chiesto alla persona giusta, la rassicura, e hai fatto la cosa giusta: in questi casi bisogna mantenere la calma e ragionare.

Li vediamo entrare nell’ufficio e uscire pochi istanti dopo. Lui contento di aver fatto del bene. Lei con un mezzo sorriso, ma ancora apparentemente tranquilla.

I due si separano.

La ragazza, che ormai ha perso il treno, nell’attesa si ripara in un angolo appartato, fa una telefonata e scoppia in lacrime: la calma e la freddezza si trasformano in una crisi di panico. Qualche minuto dopo, estrae dalla borsa un fazzoletto di carta, si asciuga le lacrime, mette in sicurezza il telefono, fa un profondo respiro, afferra il trolley ed esce di scena.

Ratatatatatatatatatatatatatatatata.

Riccardo Fano