Fuori sede

Il riflesso dello specchio della boutique gli restituisce corredo di denti di un bianco e una brillantezza irreali. Pensò che il dentista aveva fatto un buon lavoro e che quei soldi erano stati investiti bene. Altri ne sarebbero usciti a breve dallo strisciamento della carta ricaricabile.

Trecentoventi euro per una felpa potrebbero sembrare tanti. Se però è uno dei pezzi in limited edition che costituivano l’ultimo drop del brand più cult in circolazione tutto sommato era un esborso giustificato.

Ed è ciò che pensa mentre accarezza la scritta “POST MODERNISM” serigrafata in bianco sulla manica nera e inizia a godere di quella sua nuova, momentanea, pelle.

Una veloce condivisione social del sacchetto con geolocalizzazione, per distillare il momento fino all’ultima goccia ed è pronto al rientro.

L’appartamento è in una zona centrale, comoda per raggiungere velocemente i luoghi più instagrammabili della città e la via, la fermata della metro e altri piccoli dettagli altrettanto utili da far scappare con apparente noncuranza durante una conversazione con nuove conoscenze e colleghi appena arrivati a Milano a conferma del proprio status.

Quarto piano con ascensore in stabile signorile dei primi del ‘900.

Ingresso con lungo corridoio, poster di Biennali d’arte e film alle pareti, parquet di frassino spazzolato in ogni stanza, tranne in cucina dove una recente ristrutturazione ha fatto riemergere le piastrelle originali a mosaico e in bagno dove è stata scelta della resina color burro, che troppe vite alle spalle hanno fatto emergere delle grosse e inestetiche rughe sulla superficie.

Una cucina DaDa in laccato bianco, dona molta luminosità alla stanza.

Il top in Corian installato anni prima resiste perfettamente al tempo in quanto quella risulta l’unica stanza mai completamente utilizzata.

Alcuni sacchetti di Glovo e confezioni da take away raggruppati in un angolo in modo ordinato, ne sono la prova.

La doppia esposizione dona maggior lustro all’intero appartamento, oltre al guadagno di un paio di punti società durante le conversazioni, assieme all’affaccio interno sul cortile condominiale con piccolo giardino tra le rastrelliere per le biciclette e il vano rifiuti.

Era tutto perfetto e non capitava occasione di menzionare ogni piccolo particolare, tranne che fosse costretto a condividerlo con altre tre persone per via dell’affitto per lui proibitivo.

Il suo contratto a tempo determinato in una agenzia creativa gli permetteva una stanza di ventidue metri quadri, nei quali si incastrava a malapena il divano letto Vimle, che una volta chiuso faceva guadagnare spazio nelle giornate di smart working, una anonima scrivania dalle linee brutaliste e risolute recuperata in un mercatino della domenica, ma pericolosamente instabile quando veniva usata seriamente, una sedia da ufficio Markus, una Billy bianca che conteneva libri di foto e di grafica acquistati a metà prezzo al Libraccio sui Navigli e una Monstera deliciosa adagiata dentro un vaso in finto Raku giapponese, appoggiato accanto alla finestra con la speranza che riceva più luce possibile dal cielo piombo e avaro di Milano.

I pochi, ma selezionatissimi vestiti appesi ad una rella appoggiata al muro con sotto le scatole di sneakers acquistate da StockX, raffle e, resell eccessivi allineate in perfetto ordine.

I pezzi che non erano più caldi venivano rivenduti cercando di ricamarci sopra una cresta necessaria per alimentare gli acquisti successivi.

Anche lui aveva provato ad alimentare una carriera parallela, seguendo le storie di suoi simili e di quindicenni che nei Vlog su YouTube millantavano i loro guadagni a quattro zeri scaturiti dalla vendita di quella Travis Scott, quel Toy di Kaws o quella felpa limited, ma senza nessun risultato. I suoi fallimenti però rimanevano nascosti nella piccola stanza. Fuori non c’era spazio per il dubbio, o i tentennamenti.

Fuori serviva il successo, i traguardi sempre più ambiziosi e frequenti.

La vita vissuta in velocità, ché se ti voltavi rischiavi lo schianto. Rimanere a galla seguendo la corrente. Non decidi la direzione, devi solo evitare di affogare.

Il passato è alle spalle. Non c’è spazio per il presente. Il futuro non esiste ancora.

Sentiva i suoi genitori una volta ogni dieci giorni.

Anche con loro recitava un copione talmente rodato da aver convinto persino se stesso.

Non erano realmente preoccupati sebbene col dubbio che quella vita e quella carriera tanto sbandierata non lo stesse portando molto in là e che quelle amicizie e quelle relazioni fossero tutto tranne che costruttive.

Dopo ogni telefonata con sua madre, per qualche secondo, sentiva i frammenti dello stesso dubbio rifarsi vivi. La domanda che voleva sfumare fino all’annientamento persisteva. Per quanto l’avesse cacciata in fondo, la sentiva bussare con insistenza.

Deglutiva amaro e il respiro si faceva pesante e incompleto.

Serrava la mandibola mentre fissava un punto neutro tra la tenda e la finestra.

Un lieve trillo di Teams lo richiamava nel gioco e nel prossimo, imminente meeting per il kick-off della nuova campagna video di un brand di moda venduto come molto promettente ma di cui né lui né i suoi colleghi avevano mai sentito parlare.

Dopo due ore di riunione, del tipo in cui si mettono sul tavolo molte idee, parecchi spunti strategici, ma poi non si conclude nulla se non la definizione di un nuovo meeting per riparlarne, si ritrovò più stanco e senza aver chiuso nessun lavoro in lista.

Il numero di progetti aumentava e le date di consegne erano sempre più sottili.

L’ora sul Mac segnava le 19:14, non aveva combinato nulla, tanto valeva uscire e dare un senso alla giornata.

Il Bar Basso era sempre lì, con le sue sedie scomode, i tavoli minuscoli, gli sbagliati versati nei bicchieri fuori scala per attirare i turisti e le facce di persone che ti guardano mentre passi e non sai mai se lo fanno perché ti conoscono ma tu non ricordi chi siano o se perché danno per scontato che tu le conosca, che di loro hai senz’altro sentito parlare in giro e attendono da te qualcosa.

Attorno a tre tavolini tondi avvicinati per l’occasione, seduti su sedie in bilico tra piccole buche formate con gli anni sull’asfalto in discesa, patatine, olive e tartine dal sapore retro, si consuma anche questo pre serata.

Col secondo giro, il cocktail inizia a fare effetto come un meraviglioso medicinale che alleggerisce la testa, allontana i pensieri e per un po’ non allontana i pensieri sconvenienti.

La serata terminò con una cena in un nuovo locale aperto a NoLo di cui aveva già dimenticato il nome, ma che faceva, a detta di tutti, un ceviche di ricciola pazzesco, ma che non prendeva prenotazioni e aveva solo venti coperti quindi ci si doveva mettere in fila e attendere il proprio turno.

Dopo un’ora e quaranta di attesa, si ritrovò seduto a un tavolo ancora più piccolo del precedente con persone che non conosceva con in mano una ciotolina di terracotta color azzurro polvere e del pesce crudo che sapeva solo di limone e pepe.

Lui che era ancora sbronzo dall’aperitivo e a cui il pesce nemmeno piaceva.

E mentre il taxi lo stava riportando a casa e gli effetti dei surrogati degli anestetici iniziavano a sparire, ecco i pensieri che ritornavano insistenti: le riunioni del giorno dopo, le scadenze sempre più vicine, un contratto a tempo indeterminato che non si concretizzava, le promesse che restavano tali, amicizie che non portavano a nulla, nessuna relazione stabile, l’abbonamento a uno stile di vita che diventava giorno dopo giorno sempre più esigente.

Una città che offriva tutto, ma solo ai pochi che se lo potevano permettere. Gli altri vedevano lo spettacolo dall’ultima fila e con la pancia vuota.

Salì le scale con la sensazione di aver sbagliato tutto. Il rammarico nel vedere che i sacrifici dei suoi genitori lo avevano portato a un punto morto.

Si mise a letto con le solite domande, che nelle ultime settimane lo avevano tormentato ancora di più.

Si addormentò quando era quasi l’alba.

Poco più tardi la sveglia del telefono interruppe il riposo.

Aprì gli occhi, guardò il display: PROMEMORIA ore 9.00 – Meeting di Review progetto video.

Non era nemmeno cominciata la giornata ed era già in ritardo.

Riccardo Fano