La maschera

Il suono della sveglia lo trovò con gli occhi aperti, il corpo ancora assopito, ma la mente già proiettata al futuro e alla serata che lo attendeva.

Quel pensiero positivo fu l’innesco ad alzarsi e compiere i movimenti di routine: una sistemata alla parrucca rossa, un rapido controllo ai pantaloni blu elettrico con pois bianchi, ai quali decise di abbinarci il paio di scarpe acquistato pochi giorni prima.

Consumò il primo caffè in cucina, osservando dalla finestra la città che iniziava a muoversi nervosamente. Si lavò i denti non prima di aver spostato l’enorme cravatta a righe dietro la spalla sinistra per evitare che si inzuppasse nel lavandino.

Con precisione chirurgica inserì dei fazzoletti di carta nel colletto della camicia per proteggerla dal cerone bianco che stava minuziosamente distribuendo sul viso: un gesto semplice, ma che gli conferiva protezione.

Un piccolo ritocco di matita nera attorno agli occhi, la chiusura dello spesso perimetro della bocca col rossetto rosso, una spruzzata di profumo sulla margherita di plastica all’occhiello della giacca ed era pronto a uscire.

Trascorse qualche minuto prima di salire sul vagone della metropolitana che riteneva più libero, trovando persino da sedersi: fino al capolinea poteva godersi il libro iniziato la sera prima.

La giornata in ufficio non era differente dalla precedente e, senza enormi doti da preveggente, si poteva intuire che sarebbe stata uguale anche la successiva.

Revisore conti per una multinazionale: una cosa temporanea si era detto dodici anni fa, il posto fisso che dava sicurezza più ai suoi genitori che a lui.

Poi la vita e l’abitudine si sono messe di traverso ed eccolo lì a seguire la traccia solcata dalle circostanze.

La sua evasione era confinata al mercoledì sera. Quella sera.

L’eccitazione aumentava con il trascorrere delle ore.

Alle 18 precise, assieme ai colleghi strisciò il badge in uscita, fece il tragitto al contrario scendendo prima dalla metro in direzione Tropicana, un locale che organizza un open mic per chiunque desideri esibirsi.

Ci andò la prima volta da spettatore accompagnato da amici a bere una cosa dopo il lavoro.

La maschera

Si appassionò nell’ascoltare persone raccontare storie strambe, chi attraverso poesie, chi usando battute, chi con stornelli, imitazioni e giochi di prestigio. Ogni tanto funzionavano, altre volte no. Per lungo tempo aveva invidiato chi strappava applausi, altre volte si sentiva fortunato a non essere al posto di chi aveva inforcato la serata no rimediando silenzi, colpi di tosse da fondo sala e qualche fischio.

Ma ormai il tarlo aveva fatto breccia nella sua testa e non passò giorno nel quale quel piccolo brivido lo veniva a trovare ripetendogli: E se…

Fino a quando una sera di tre anni fa prese coraggio, si segnò sulla lavagna all’ingresso e debuttò.

Fu meglio di quanto pensasse, meglio di quanto potesse sperare. Adrenalina e ossigeno.

Come ogni settimana scese le ripide scale, tenendosi al corrimano per non inciampare con le lunghe scarpe e come quasi ogni mercoledì sera sfiorò con la parrucca il basso stipite del piccolo camerino in cui si cambiavano gli artisti.

Data la confidenza, Darko, un uomo gentile e iracondo – dipendeva dalla giornata e da quanto avesse bevuto – gli permetteva di lasciare gli abiti di scena appesi dietro la porta, protetti da una sottile busta trasparente.

Alle 19.30 puntuali, come in un antico cerimoniale, iniziava la preparazione.

I batuffoli di cotone cancellavano lentamente dal volto il bianco rivelando ciò che nascondeva. Un busto di polistirolo accudiva con attenzione la parrucca rossa, mentre delle stringate inglesi, perfettamente lucidate, facevano risaltare l’abito sartoriale fumo di Londra. Un ultimo controllo allo specchio. Lo sguardo delle due figure riflesse si incrociò per pochi secondi riconoscendosi.

Un sorriso di complicità, un respiro profondo e un sorso di whiskey.

L’occhio di bue illumina le assi del palcoscenico.

Il pubblico lo acclama a gran voce e aumenta quando lo vede apparire.

Il microfono emette un leggero fischio, mentre il suo filo viene arrotolato attorno al braccio che lo regge.

E per mezz’ora sarà se stesso.

Riccardo Fano